lunedì 19 gennaio 2015

Fenomenologia dell'attesa

Ho cercato su Google, utilizzando come criterio tipi di azzurro, l'esatto colore della zoccolatura di queste pareti ed è, precisamente, carta da zucchero.

Il display è fermo al numero 15 da un po' ed io, che ho scoperto mezz'ora fa di essere parte di quelli del secondo turno sono qui, seduta su una sedia bucherellata d'acciaio, a sognare il mio caffè.

Le attese ospedaliere, se ben impiegate, possono essere arricchenti. Mia Zia, per esempio, sonnecchia e si ricarica, io, invece, ascolto e costruisco vissuti, che mi piace pensare verosimili, basandomi su stralci disordinati di conversazioni assurde.

Il tipo riccioluto col naso piccolo e dritto che siede alla mia destra ha appena detto alla madre, cardiopatica, che la macchinetta del caffè in questa stanza é dello stesso tipo di quella che sta al commissariato di polizia di piazza della Repubblica, poi é passato a raccontarle delle feste del suo cane ed io gli ho sorriso, pensando al mio.

Mi piacciono le persone che lavorano con entusiasmo, sarà per questo che ho richiesto informazioni non necessarie ad un infermiere zelante. O forse ho un disperato bisogno di comunicare.

Passerò qui buona parte della mia giornata, tanto vale farsi degli amici.

Ho paura degli esiti, mi stupirei del contrario. Sono guarita sí, ma fino a un certo punto. Negli ospedali l'ipocondria non è bandita, la tensione nervosa é tacitamente tollerata. Io la subisco, partorisco scenari catastrofici e poi, per non impazzire, torno a costruire le vite degli altri.

Del resto é sempre meglio che rovinarsi la propria.

Nessun commento:

Posta un commento