venerdì 19 giugno 2015

Il riflesso

Mi piace calpestare i sampietrini di Roma la mattina presto, specie quando sono umidicci e riflettono il pallore d'un cielo che non s'è ancora svegliato. Dal finestrino del bus osservo, mai stanca, scenari da cartolina. Assaporo il privilegio di vedere la mia città spoglia, vuota, romantica. E' tutta mia e ne sono gelosa. Non la trascuro per lo schermo d'uno smartphone ma mi diverto a fotografarla.

Quando scendo dal 51 mi giro sempre a guardare il Colosseo, perché alla grande bellezza non è giusto ci si abitui. Ogni passione va alimentata affinché continui a darci il piacere che da lei ci aspettiamo, che pretendiamo.

Mi stanco molto. Le settimane scorrono serrate. Ma la stanchezza mentale degli ultimi anni, aggravata dal lungo periodo, per certi versi autoimposto, di disoccupazione è stata molto più dura da sopportare rispetto all'attuale stanchezza fisica che, a dirla tutta, quasi mi conforta. E' un promemoria del mio essere viva.

Ormai penso alla mia infertilità come una condizione patologica con cui dovrò convivere. L'accettazione è l'ultima fase del processo di elaborazione del lutto ed io, che sono stata per troppo tempo in lutto con me stessa, ho ricominciato ad accettarmi.

Non spero più in una gravidanza naturale. Attendo il ciclo con consapevolezza, quasi serenità.

Le basi su cui poggio ora sono solide, sono state costruite con fatica e con dolore ma non cadranno più.

Questa nuova condizione mi è quasi estranea. Ma non mi spaventa. So di meritarla.

Lo specchio è tornato a riflettermi. O forse non ha mai smesso. Ero io che non mi vedevo più.

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