giovedì 19 novembre 2015

Rosso, giallo, verde

Ho messo la sveglia troppo presto, temevo file e metafile invece con lo zeroquattordici ho atteso, forse, tre minuti e alle otto e un quarto col referto del pap test in mano ero già fuori dal Fatebenefratelli.



Rincuorata dall'esito negativo mi sono concessa una colazione abbondante, per la verità non troppo buona e poi mi sono concessa la Roma della movida che la mattina presto ha tutto un altro fascino. Trastevere sonnecchiava e io pure, mi sono svegliata a poco a poco e mai completamente mentre i vicoli si riempivano dell'odore del pane appena sfornato, quell'odore che non senti mai al Carrefour sotto casa e che sa di buono, di infanzia, di serenità.

Sono entrata in Santa Maria e ho fatto una cosa che non facevo da un po': pregare. Non ne sono mai stata capace, le mie conversazioni col Principale hanno sempre avuto un tono troppo informale. Le mie richieste sono ormai scontate, ripetitive e banali ma a differenza delle altre volte ho chiesto pure scusa facendo appello alla proverbiale misericordia di chi governa, a detta di molti, le nostre vite lasciandoci, però, la possibilità di sbagliare. Come faccio spesso io.




Dopo aver inoltrato la richiesta di perdono per via telepatica sono arrivata a Piazza Trilussa e sono tornata indietro costeggiando le acque verdastre del Tevere che scorreva lento lento, imperturbabile. Il cielo limpido, lo specchio d'acqua, la carezza di mamma Roma.



Ho tagliato corto fino al teatro Marcello, dove due giovani e bionde americane stavano disegnando a matita su un bloc notes, ho attraversato il Campidoglio e il Vittoriano e mi sono confusa tra i turisti passeggiando tra i fori, con la Reflex in mano e gli occhi affascinati di chi, nonostante viva questa città tutti i giorni, non smette di subirne le avances.




Quando cammino trafelata tra i larghi viali del centro schivando l'invadenza delle persone comuni, quando i tempi del bus sono biblici e la metro è una chimera, quando il traffico si mangia buona parte della mia giornata io penso alle mie fuitine, a questi incontri segreti, intimi, amorosi con la mia città. E poi penso a Mastrandea che, intervistato in un documentario su Roma, dice una cosa tipo 'sta città te entra dentro in maniera così forte che quando ero a Venezia ho detto alla mia compagna 'c'ho bisogno de semafero'.


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