sabato 28 febbraio 2015

Che confusione, sarà perché mi amo

Il mio nuovo sottopagato ma fighissimo lavoro procede senza grossi intoppi. Ricevo complimenti per la mia perspicacia ma continuo ad autoinfliggermi sedute motivazionali davanti lo specchio tutte le mattine prima di partire. Quando si dice l'autostima.

Mentre io riprendo confidenza con ritmi serrati, scadenze, pause macchinetta e chiappe compresse da sedie girevoli, mio marito, reincarnazione di un bradipo tridattile, ha iniziato a ridipingere casa scartavetrando quattro pareti in una settimana. Di questo passo il mio precarissimo contratto finirà prima che io possa rimetter piede nella mia dimora che, trasformata in un cantiere, non è certo luogo ideale per una che ha il sangue blu.

Ci siamo trasferiti nella mini casetta estiva di mia suocera. Molto intima. Così intima da avere un solo piccolissimo bagno. Le mie infinite sedute sul trono hanno subito una brusca abbreviazione temporale con conseguenze nefaste per l'equilibrio della mia flora batterica intestinale. Del resto l'idea di rilassarmi mentre marito, cane e gatto invadono senza pudore il mio spazio è fuori discussione. Così, affranta, mi alzo prima del solito e lotto strenuamente per la conquista del lavabo, della doccia e dello spazio sulla mensola per i miei trucchi.

Perdo spesso, a dire il vero. Per esempio ieri sera Penelope, che non ha rinunciato alla sua intenzione di uccidermi e sposare l'USI, con un agile balzo ha spinto la stufetta elettrica, attaccata alla presa di corrente, dentro il lavabo mentre mi stavo lavando i denti. L'attentato, come potrete evincere dal fatto che io sia qui a scrivere questo post, non le è riuscito ma la stufetta è da buttare.

Siccome questo casino non ci abbastava il Gemelli, finally, ha chiamato. Peccato che da quelle parti non abbiamo proprio le idee chiare e mi abbiano spostato l'appuntamento ben tre volte, motivo per cui non me la sento di scrivere la data del giorno ics. Potrebbe slittare anche di un mese e quindi famo conto che avemo giocato al dottore e nun ce pensamo più.

In tutto quest'enorme trambusto io ci sguazzo. La confusione mi piace, lo stress mi mancava e l'adrenalina ha ricominciato a circolare. Mi perdo ancora, qualche volta. Quell'ansietta che parte della bocca dello stomaco e finisce per invadere il respiro non l'ho ancora sconfitta del tutto. E' come un nemico che, consapevole del suo potere, torna a rompere il cazzo senza apparente motivo, solo per rimarcare la sua posizione di manifesta superiorità.

Però ci convivo.

Io sono anche questa e mi va bene così.


martedì 24 febbraio 2015

Sotto pressione

Io non so cosa sia successo di preciso al mio corpo nei giorni che hanno preceduto quest'ultimo ciclo ma ieri sera sembravo Patty Pravo.
No, non questa Patty Pravo:

ma questa:




Insomma, oltre a somigliare all'uomo gatto senza aver fatto alcun ricorso a lifting e botulino, avevo anche le mani modello canotto da rafting con l'anulare strizzato a mo di salsicciotto nella fede nuziale.

Mina, allarmata dalla possibilità che io iniziassi a volare senza l'aiuto dei palloncini della casetta di Up, mi ha attaccato al polso uno di quei cosi elettronici che misurano la pressione arteriosa.

La minima è alta, ha sentenziato.

Io, che ho il sangue freddo, ho iniziato a iperventilare, peccato non ci fosse nessun sacchetto di carta, così magari avrei capito l'utilità di respirarci affannosamente dentro e mi sarei sentita una cifra ammerigana.

Qualche mezz'ora dopo l'allarme è rientrato e oggi ho inaugurato la mia seconda settimana di lavoro scevra da condizionamenti ipocondriaci, segno che qualcosa è effettivamente cambiato e che l'analisi è stata una buona idea, forse l'unica buona idea in tre anni di onorata carriera depressiva.

Il fatto che io mi stia approcciando a questo nuovo lavoro e, in generale, a questo nuovo capitolo della mia vita in maniera più zen, fatalista, rilassata ma anche più ottimista, consapevole, determinata mi rende fiera di aver percorso una strada tortuosa, ripida, sdrucciolevole. E mi rende pure fiera delle mie battute d'arresto.

Nemmeno le ho contate le volte che sono finita col culo per terra ma ogni livido è servito. Ogni goccia di sangue, ogni ferita, ogni lacrima.

Nella merda c'ho coltivato i fiori. E, per questo, la pacca sulla spalla me la do da me.

sabato 21 febbraio 2015

Stime temporali

L'unico vero problema di lavorare nel centro della città più bella del mondo è la gestione degli orari. Soprattutto per una che viene dalla provincia. Raggiungere quella parte di Roma dove i negozi aprono alle dieci, il caffè costa quindici centesimi in più del dovuto e l'asfalto si mescola ai sampietrini è impresa ardua se l'uso dell'auto non è opzione considerabile e i mezzi pubblici sono l'Atac.

La metro B, quella dei poveri, è generalmente meno soffocante ma le carrozze, ora che i capolinea sono due ma i mezzi per raggiungerli sono sempre gli stessi, appaiono all'orizzonte in media ogni 11 minuti, tempi biblici per una metropolitana d'una città appena sopra la soglia accettabile di sopravvivenza, insomma appena sopra le forme sottosviluppate di comunità che praticano il cannibalismo e passano il tempo azzannandosi le chiappe

E' una roba che quando vedi la testa del vagone vai in crisi mistica che manco l'apparizione della Madonna.

La linea A, generalmente meno zozza, refrigerata e più frequente pullula di borseggiatori. Le probabilità d'essere derubata dei tuoi averi mentre tratteni il respiro accozzata stile sardina in scatola al cappotto della signora che ti sta davanti sono pericolosamente alte. Quindi, nel tentativo di non soffocare e diventare ancora più povera, in genere aspetti il vagone meno intasato. Tempo stimato di attesa per fare DUE fermate: 10 minuti.

Se ci mettete pure i vari passaggi, i lunghissimi corridoi malamente illuminati e pregni dell'olezzo di piscio, le scale mobili ferme che mio Dio perché mi hai abbandonato e il pezzo di strada a piedi perché il centro per essere bello dev'essere pedonale otterrete una stima che si aggira intorno a  un' ora e un quarto di passeggiata in purgatorio. 

Così armate di pazienza, tolleranza xenofoba e tanta buona volontà partirete all'alba. Quella sarà la volta in cui l'Atac deciderà di essere l'esempio dell'efficienza. E arriverete a lavoro con un'ora di anticipo, alle sette e zero tre. 

venerdì 20 febbraio 2015

Il mattino ha l'argento in bocca

Non è la voglia che mi manca. É che io pe' lavora' non c'ho er fisico.

Eccolallà la Princess maledetta. Quella che s'è pianta l'anima dopo aver perso il suo lavoro e ha pregato tutto il calendario mariano per trovarne un altro che fa a ciucca col finestrino di un bus, lottando contro il sonno da sveglia all'alba e la stanchezza da stress da prima settimana lavorativa.

Io sono quella nuova, ancora una volta. Quella da conoscere, valutare. E da brava primina della classe faccio sfoggio delle mie competenze, le espongo al mercato nascondendo la merce avariata sotto il bancone, nella speranza che nessuno la noti mai.

Loro sembrano, giorno dopo giorno, meno mostruosi e più normali. Ridono, persino. Si arrabbiano e gioiscono, bevono caffè.

Loro sono le persone con cui, con buona probabilità, condividerò solo una piccola, piccolissima parte della mia vita, saranno, in un domani non troppo lontano, nient'altro che una voce sul Curriculum, magari un bel ricordo.

Sicuramente loro sono un segno. Una ripartenza Un messaggio: io ce la posso fare. Io posso ricominciare. 

Stamattina il centro di Roma era colorato d'argento, bagnato dalla luce della mattina presto. Era pulito, silenzioso, vuoto. Stamattina c'ero io, sola con la mia città. C'ero io, sola con questa nuova me, che non finisce mai di stupirmi, di farmi innamorare.

Non finirò, suppongo, a baciare la mia immagine riflessa nello specchio perché, in fondo, l'autoreferenzialità, in qualsiasi forma decida di palesarsi, non fa per me e non sono poi così vanesia come dicono. Ma mi piaccio. E per la prima volta mi vedo da dentro, coi miei occhi, senza passare per il giudizio di quelli degli altri.

Di quello che accadrà poco mi importa. Mi andrà bene, andrà tutto bene perché oggi sono io. 


 



lunedì 16 febbraio 2015

Il complesso

Ammetto che la tentazione di mollare tutto e prendere la via dell'Aventino è stata molto, molto forte. Così forte e così ben radicata nel mio subconscio da non essersi, ancora, perfettamente scozzata.

I dubbi che mordicchiano impietosi i miei pensieri poggiano solide basi su diversi motivi.

Innanzitutto il mio lunghissimo digiuno lavorativo mi ha reso insicura, incerta sulle mie possibilità, svogliata, deconcentrata, apatica. Un mostro.

In secondo luogo il cliente di questa web agency, pullulante di gente così smart da solleticare insistentemente quel malcelato complesso di inferiorità che ti porti addosso dalle scuole medie, quando tua madre ti comprava le Lelli Kelly e le camicie coi collini a centrino, è very important e tanto, troppo, esageratamente istituzionale. Che mica uso se frasi fatte a minchia, io. Insomma, ansia a cagotto.

Infine la missione pupo che rischia di arrancare dietro un lavoro che per molti sarebbe considerato, a ragione, una grande occasione e che per me rischia di essere solo impegnativo, massacrante, totalizzante.

Mi sento l'ultima della classe in mezzo a tanti cervelloni iperattivi e motivati. E convivo col timore che questo impiego non farà altro che togliermi determinazione, passione ed energie per quella che considero, ancora e sempre, la mia unica, grande e vera priorità: la ricerca di mio figlio.


domenica 15 febbraio 2015

Tieni il tempo

Quando vivi, tuo malgrado, nel tormentato mondo del più becero precariato, capita che un giorno sei in panciolle a girarti i pollici ed inventare mostri per fare in modo che la tua giornata di trentenne iperattiva sia degna di questo ruolo, il giorno dopo torni ad essere l'indaffaratissima tipa in giacca nera e tacco 12, sommersa da scartoffie digitali che torna a casa tardissimo ed elemosina una easy dinner da scaldare al microonde ad una madre che, d'improvviso, ritrova la sua funzione genitoriale primitiva, cioè sfamarti.

Ebbene sì, ho finalmente trovato un altro lavoro. Abbastanza soddisfacente e retribuito il giusto. Dove per giusto intendo giusto nell'ottica di Renzi e del suo livellamento dei diritti del lavoratore, verso il basso. Quindi una mezza merda ma sempre meglio degnente.

Curioso come, adesso che poggio di nuovo il culo su una sedia girevole similpelle che non è quella dello studiolo di casa mia, si siano svejati tutti. Persino la mia ex azienda che nell'illustrissima persona del responsabile delle Risorse Umane mi ha esortato, via mail, ad aggiornare ed inviare il mio curriculum nell'ottica di un potenziale ricollocamento.

Ovviamente ho taciuto sul nuovo impiego perché la disoccupazione mi ha insegnato ad essere furba. E soprattutto che l'onesta non paga.

La totale assenza di tempismo, in sostanza, continua ad essere il leitmotif della mia vita.

Conservo, almeno, la speranza che succeda qualcosa di simile anche sul fronte maternità perduta. Cioè tipo che aspetto il primo figlio per tre anni e poi ne sforno 4 uno dietro l'altro.

Hai visto mai.

sabato 14 febbraio 2015

Il pudore monetario

L'uomo è un animale sociale. Ma l'italiano medio a volte esagera. L'italiano medio è chiassoso, compagnone, tuttologo, impiccione. Fervente sostenitore della condivisione verbale, racconta, con dovizia di particolari e la delicatezza d'un cinghiale in carica, ogni sua esperienza, vera o presunta. Parla della sua funzionalità intestinale col barista, mentre tu gli fai colazione vicino. Si trasforma in medico di famiglia quando accenni a qualche malanno. Elargisce consigli non richiesti accompagnandoli con sonore pacche sulle spalle.

L'italiano medio non conosce imbarazzo.

Solo su una cosa è solito tacere, mantenere il più assoluto riserbo: i soldi. Quelli guadagnati, in particolare.

Che io non so se sia un retaggio della fame post bellica, un senso di colpa per la manna dal cielo post boom economico, una forma di scaramanzia ma nessuno, soprattutto nessuno ultra 40enne, dice volentieri a quanto ammonta il suo stipendio.

Il problema è che questa strana forma di pudore monetario si manifesta anche durante i colloqui di lavoro, le proposte di collaborazione, lo schiavismo mascherato.

Ripensavo oggi al primo colloquio di quest'anno, quello lontanissimo da casa. La tipa, dietro la sua scrivania immensa posta al centro di un open space privacy a interessi zero mi ha scritto la proposta retributiva su un post it giallo. Novecento euro per i primi sei mesi. Quando le ho chiesto se lo stipendio sarebbe o meno variato dopo il lunghissimo periodo di prova di cui sopra, lei, a voce bassissima e ingoiando qualche vocale ha detto tipo no, dopo sarà miltrè. 

A mio parere quest'assurda ed ingiustificata riservatezza è causa integrante del cospicuo gap monetario tra le ultime due generazioni. Un gap che ha generato fraintendimenti, mancato contatto con la realtà, differente potere d'acquisto e, soprattutto, differenti scale di misurazione.

Il guadagno bene d'un trentenne, per esempio, equivale a una retribuzione netta mensile di 1000 massimo 1300 euro. Ma il guadagno bene d'un 50enne fa riferimento a ben altre cifre.

E' così che le menate da siete dei bamboccioni, dovete accontentarvi, siete fortunati di che vi lamentate, io quando avevo 30 anni facevo la fame altroché, trovano ragion d'essere. Trovano giustificazione.

Mille euro non bastano. Non bastano a pagare bollette e affitto o mutuo. Non bastano a star dietro alle variazioni del prezzo della benzina, al riscaldamento a metano, all'abbonamento allo stadio o ai mezzi pubblici. Non bastano al dentista, al podologo, alle uscite in centro.

Soprattutto, spesso, mille euro, sono un miraggio.

E questo, a parer mio, si DEVE sapere.

Si DEVE sapere che la generazione mille euro in realtà è generazione mille euro? ma magaricecaschi.

venerdì 13 febbraio 2015

L'accordo

Un vecchio adagio feisbucchiano o semplicemente vecchio adagio, dipende dalla generazione d'appartenenza, recita chi ti ama ti cerca.

Che pare una cazzata da Bacio Perugina ma non lo è. Non del tutto, almeno. Perché al di là delle menate da ti telefono o no, ti telefono no, io non cedo per prima (Giannah forevah) in amor vince chi rincorre e chi si fa acchiappare.

Funziona lo stesso col lavoro. Paragone poco romantico, I know, ma piuttosto calzante.

Oggi, per esempio, in una bagnata Roma trasteverina ho fatto l'ennesimo colloquio. Uno di quelli in cui, al contrario dei precedenti, riponevo aspettative bassissime da crollo d'autostima.

Sulla mia mail, stasera, c'è un docx con una proposta d'accordo. Nulla, in realtà, che mi faccia diventar ricca o che mi assicuri la malattia pagata, un impiego vita natural durante, i buoni pasto. Il solito basso profilo. Tanto lavoro, pochi denari, niente garanzie.

Ma è meglio di niente. Di certo è meglio che restare attaccati a un cellulare che non suona mai, come la Pausini ai tempi di Marco e prima delle lezioni di dizione finalizzate all'estirpazione dal palato della seta romagniuola. 

mercoledì 11 febbraio 2015

Primavere

Ci si abitua talmente al vento gelido che al mattino ti affetta la faccia, alle labbra screpolate, alle estremità insensibili da ritrovarsi stupiti quando, a conclusione di una giornata sì incappottata ma limpida e mite, si prova quasi sollievo al contatto col sedile fresco d'un bus.

A Roma ieri sembrava primavera.

E questa stagione pazza, umorale, instabile, burlona, questa stagione che regala meravigliosi colori e gelate mattutine, temperature pre-estive e piogge incessanti mi rappresenta meglio di come saprei farlo io stessa, descrivendomi qui e rincorrendo i miei umori ballerini tutto il giorno, tutti i giorni.

Quando mi sento iperattiva, come oggi, sfrutto ogni centimetro della mia corteccia cerebrale. La stresso perché produca piccoli grandi capolavori d'ingegno e precisione. Faccio incetta di voci spuntate su lunghissime e pretenziose to do list al fine di immagazzinare risultati soddisfacenti, che bastino pure per i giorni di magra, quelli in cui ti alzi che pari un orrendo fagotto informe e non ti va manco di farti il caffè.

Che io, poi, quest'instabilità non la capisco. Vorrei combatterla, ma non ho armi.

Perché pensare di tenere sempre l'acceleratore della vita a manetta è entusiasmante ma pure parecchio superbo.

Sarebbe bello, tuttavia, sentirsi sempre così. Come se ogni secondo fosse prezioso, non andasse sprecato ma sfruttato, così vissuto da apparici liso una volta passato.

Come se, insomma, di vita ne avessimo solo una.


venerdì 6 febbraio 2015

Maratone colloquiali e ovulazioni ritardatarie

In america lo chiamano suit ed è una di quelle parole dalla pronuncia labile, che non sei mai certa di aver detto nel modo giusto e che non riusciresti a estrapolare da una frase di senso compiuto manco col Google Transale aperto sullo smartphone. Significa completo, vestito, tailleur. 

Il mio preferito è di List. La giacca è corta, lascia la vita scoperta e ha una martingala sul retro. Il pantalone è classico, nero, stretto sulla coscia, morbido sullo stinco e sulla caviglia.

Mi slancia e, a quanto pare, mi fa pure un bel culo. 

Lo acquistai nel negozio di via Tiburtina, era fine marzo 2007 e mancavano esattamente tre settimane alla mia laurea. La prima, la triennale. Da allora l'ho usato così tanto da usurare il girochiappa. E' perfetto per le riunioni, le occasioni formali, soprattutto per i colloqui di lavoro. Sarà per questo che negli ultimi tre giorni l'ho indossato tre volte ed ora, unto e bisunto, pregno di smog romano, pioggia e fango implora pietà sulla sedia della camera da letto.

La maratona colloquiale si è conclusa oggi ed io temo di non aver cavato un ragno dal buco. Due lavori su tre sono appetibili e stimolanti ma lontanissimi da casa e tendenzialmente mal retribuiti, l'altro è fuori discussione.

Però c'ho preso gusto. Ho praticamente imparato il curriculum a memoria e non mi trattengo più quando si tratta di parlare di soldi, orari, ora d'aria. Conosco le mie capacità, so che posso dare tanto e, sebbene io sia figlia del boom e madre della crisi, pretendo un'adeguata ricompensa per i miei sforzi e il mio know how.

Nel frattempo ovulo in vergognoso ritardo ma ho smesso di aspettarmi qualcosa dalle mie ovaie. Alzatina di spalle e giramento di palle sono due facce della stessa medaglia. Visto il culo che mi ritrovo sono piuttosto certa che mi troverò costretta, causa ciclo sballato rispetto alle previsioni, a rimandare la laparoscopia, prevista per fine mese - inizio marzo. Attendo la chiamata senza ansie, tutte le date attese prima o poi arrivano e arriverà pure questa.

Quest'approccio very zen inizia a dare i suoi frutti. Ora smatto solo in PMS, quando le rotelle del mio cervello friggono gli ingranaggi, i pensieri si accavallano e io concludo profondissime riflessioni esistenziali con un banale moriremo tutti!

Temo lo sballo da ormoni quasi quanto le zampate di Biagio sulle budella e in piena faccia di prima mattina ma da un paio di mesi cerco di ristabilire il contatto con la realtà. La mia vita non sta andando a rotoli - mi dico - sono solo un po' su/giù/su/giù di giri e quando FSH, progesterone e LH torneranno in fila per sei col resto di due io avrò la pelle più liscia, l'umore meno ballerino e le tette più mosce.

E' un mantra che consiglio a tutte le patate in ascolto. E ricordate, se non funziona c'è sempre la Nutella.

giovedì 5 febbraio 2015

Scene di quotidiano grigiore

Sono appollaiata davanti al fuoco, incamero calore nella speranza che l'eritema pernio (cioè i geloni, non biasimatemi Google mi fa sentire meno vozza) non si ripresenti, che io già mi sento vecia quando, con le scarpe der cinese che premono sulle dita, mi ritrovo ad avere la stessa camminata, galoppante e fiera, di un piccione zoppo. Per non parlare dei capelli bianchi, ormai così numerosi da radunarsi in orgiastiche ciocche.

Geni paterni? Mortacci vostra, mortacci.

Massimo Decimo Meridio spara testosterone a palla dal televisore, Biagio e Penelope dormono, l'USI è a cena con collegame sparso e non meglio identificato e io sono reduce de un colloquio di lavoro deludente. Una di quelle cose che tu pensavi fosse in un modo e invece cor cazzo.

Potrebbe andare peggio, potrebbe sempre piov... ah no, scusate.

Dopo tanto tempo sento le palpebre appesantite dal sonno dei giusti, di chi si sveglia presto al mattino e galoppa per un giorno interno, nella speranza di non stramazzare al volante, su quel tratto dell'A1 dove tira tanto vento e girano tanti T.I.R.

Mi manca questa sensazione. Diavolo, mi manca lo stress.

Sapevo che il momento dello scazzo sarebbe arrivato, quel momento in cui realizzi che vabbè il silenzio, vabbè il relacs, vabbè la natura ma, 'orcomondo, qualcuno mi ridia lo smogghe de Roma, il traffico, le scadenze e la caffeina endovena per restare vigile.

I tacchi, magari, a giorni alterni che i miei piedi si sono appena ripresi da tre anni di impietoso massacro e altezze da vertigine.

martedì 3 febbraio 2015

Sono IO!

Certe volte mi rileggo, perché sono autoreferenziale e vanesia. Le mie parole mi compiacciono, soprattutto quelle a cui il tempo trascorso ha conferito una sorta di autorità reverenziale.

I vecchi post mi sembrano sempre migliori dei nuovi. sarà che il passato sembra sempre migliore del presente. Certo, con questa premessa, la vita non sarebbe altro che un'inarrestabile calata verso l'abisso, l'opposto dell'osannato il meglio deve ancora venire. 

Il punto è che non ci rendiamo conto di quanto la quotidianità apparentemente noiosa, stantia, ripetitiva possa apparici in un secondo momento rilassata, serena, quasi felice. Di quanto possa, un giorno, essere rimpianta.

Proprio quando penso che il mio cammino introspettivo si sia positivamente concluso conferendomi una sana maturità ecco che la mia mente mi stalkera con questi profondissimi pensieri che cozzano, a dire il vero, con il mio quotidiano fatto di pragmatismo.

Tempo perso, mi dico. Castelli di sabbia, pippe mentali. Dovrei piuttosto studiare l'inglese, prepararmi per un colloquio, spammare curriculum, pulire la macchina, cucinare.

E invece divago. Mi crogiolo dentro me stessa, come una lumaca. Spulcio anfratti del mio essere, li esamino, gli sorrido, li coccolo.

Ne vado fiera, inaspettatamente.

Mi scopro ricca, poliedrica, simpaticamente imperfetta.

Mi piaccio.

Tutte le volte che Sciattaman mi ha parlato dell'io, un tizio che a me, a quanto pareva, mancava e il cui posto vacante m'aveva incasinato il cervello, non capivo bene, a fondo di cosa si trattasse.

Se io so' io e tu sei tu chi è più stupido io o tu?

Non avevo l'io ma ero comunque molto scema.

Oggi, invece, lo sento, quest'io. Ho capito chi è, dov'era. Mi ci sono pure affezionata, tanto. Così tanto che col cazzo che me lo lascio scappare un'altra volta.