lunedì 30 marzo 2015

Non ti voglio, ti pretendo

Siamo trionfalmente tornati alla base in un piovoso venerdì marzolino ma la nostra casa, che solitamente si bea dell'ordine meticoloso da disturbo ossessivo compulsivo, continua a sembrare un bordello magrebino, con cuscini sfoderati distribuiti alla rinfusa sul divano, scope, scopettoni, stracci, pezze da spolvero e secchi di vernice sparsi in remoti anfratti.

Il grigio perla è chic, le pareti necessitano ancora di qualche ritocco ma, disordine a parte, la situazione parrebbe essere sotto controllo. Mio marito, tronfio, non vede l'ora di mostrare ad amici e parenti il risultato delle sue fatiche,

I miei capelli, nel frattempo, hanno abbandonato lo status di crine e l'oretta sotto la doccia dedicata alla missione estirpazione del pelo superfluo e pelle vellutata è stata ben spesa. La mia autostima, però, è risalita solo a grazie ai jeans bilancia, quelli che tutte le donne posseggono e che fanno da unità di misura per mantenere il pesoforma. Mi sono entrati abbastanza agevolmente, senza che mi esibissi in ridicoli balletti, saltelli sul posto e calcetti in aria, così ho deciso di meritarmi un mega hamburger di manzo, cheddar, lattuga e salse a piacimento in un adorabile pub trasteverino con la Sister intenta a criticare la sua birra che, a detta sua, puzzava di piscio di gatto.

Questo pomeriggio domenicale scorre veloce, ho tante cose da fare ma procrastino. Continuo a programmare la mia vita a vista ma lo faccio puntigliosamente. Sono pur sempre una cazzo di maniaca del controllo, come Mister Grey, solo che le mie sessioni di sesso non comprendono corde, frustini e divaricatori.

L'agenda che lo scorso anno non aveva motivo di esistere adesso è piena di impegni, promemoria, buoni propositi, scadenze e date ed io, che credevo di aver perso l'abitudine allo stress, ci sguazzo dentro, cercando di riempire ogni minuto di nuove esperienze, cose da fare e da imparare. Di vita.

Una vita che, a dirla tutta, non si decide a concedermi la botta di culo che bramo da anni. La differenza è che io, adesso, sono decisa a prendermela.

Miranda e le manovre prepasquali

Indosso lo stesso paio di pantaloni di ieri, un maglioncino grigio fumo con lo scollo a e le maniche slabbrate, scarpe made in china, intimo non coordinato, calzini rosa a mezzo stinco. Se questa, per tutte le donne così poco superficiali dall'essere sprovviste di una sana dose d'egocentrismo vanesio è la normalità, per Miranda Priestley è un crimine orrendo che marchierà a vita la mia anima fescionista rendendola riconoscibile al mondo, tipo il segno sulla fronte di Caino.

Verrò additata come sciatta, femminista col pelo pubico orgogliosamente vigoroso e lucido oppure comunista da centro sociale troppo impegnata a dimostrarsi maschio per essere femminile e sostenere le tette con un wonder-bra.

Una fine orrenda per una che coordina il colore dello smalto a quello della pashmina, un po' come si abbinavano scarpe e borsa negli outfit matrimoniali anni '90. Ammesso che ora questa consuetudine sia davvero in disuso.

Se ci mettete, poi, che ho i capelli a criniera, grezzi, crespi, gonfi avrete il quadro completo della situazione tragica in cui versa la considerazione che ho di me stessa, del mio senso dello stile, della moda, della cura della persona.

Ah no, scusate. M'ero scordata le occhiaie e le pellicine sulle unghie.

Ad ogni modo, ora che torneremo nella nostra regale dimora dai nuovi muri grigio perla, ho intenzione di recuperare. Ho stilato un piano bisettimanale di squat, pedalate, addominali. Che va bene tutto, ma il culo calante giammai. Ho acquistato una crema corpo in offerta, un dentifricio sbiancante, persino un impacco per capelli.

Grandi manovre prepasquali.

Queste manifeste intenzioni di rinnovamento, che oltrepassano i confini del mio corpo per invadere tutto quel che mi circonda, dalla casa al giardino, mal si sposano con le mie finanze che, impietose, mettono veti al mio desiderio ossessivo di acquisti. Così lo stalkeraggio sul sito di ikea e davanti la vetrina di Ferrone di via del Tritone è, per ora, innocuo e fine a se stesso.

Temo dovrò prendere ripetizioni intensive di microeconomia dalla Merkel, visto che ora lavoro, percepisco uno stipendio ma non è cambiato un cazzo. Ricambierò impartendole lezioni di gag che, si sa, il primo ministro tedesco ascolta Bach e legge Kant ma, diavolo, c'ha un culo enorme.

lunedì 23 marzo 2015

Overdose d'estrogeni

Enne, la mia nuova collega, è una riproduzione in chiave romantica della Sister G.

Ha un rapporto controverso con l'altro sesso che pare non avere, nei suoi riguardi, approccio diverso dall'odi et amo di Catulliana memoria.

Vive di estremismi, relazioni complicate, reazioni fuori dai confini della logica e delle convenzioni sociali. Soffre di empatia, condivide le sue emozioni, veste vintage.

Ha 40 anni, ne dimostra meno, se ne sente di più, regredisce allo stadio preadolescenziale quando di tratta di maschi.

Mi piace, nonostante sia stressante reggere il ritmo dei suoi pensieri, commentare le sue esperienze, darle consigli.

Erre, che ha il nome di una fata, ha il sorriso più ampio che io abbia mai visto, indossa gonne lunghe, ha i capelli corti, non si sporca la faccia col trucco, ha l'andatura, il tono di voce e le fattezze d'un folletto.

Mi ha accolta festosamente, mi chiede sempre come stai e, a memoria aziendale, nessuno l'ha mai vista arrabbiata, triste, contrariata.

Mi piace, nonostante i miei umori altalenanti non mi permettano di ricambiare sempre le sue gentilezze, ne di sentire il canto melodioso di uccellini invisibili tutte le mattine appena sveglia, come pare accada a lei.

Effe ha occhi profondi, spalancati sul mondo. Una criniera leonina, su una testa piccola e un corpo esile. E' la più impenetrabile delle tre, parla poco del suo privato, preferisce discutere di lavoro. Ha una bambina di due anni e mezzo dagli occhi blu che, pare, abbia cercato e ottenuto faticosamente.

Mi piace, nonostante, forse, il desiderio di maternità sia l'unica cosa che abbiamo in comune.

Non sono, come sapete, una femminista coi baffi e le espadrillias. Non coniugo le cariche al femminile perché resto convinta che i contratti in bianco e  il tetto di cristallo contro cui le donne sbattono la zucca siano problemi ben più gravi e, purtroppo, trascurati. Sono consapevole, da donna, che le donne
sono spesso il nemico di loro stesse, e che l'EvacontroEva ha rovinato intere generazioni.

Da femmina carina, mediamente intelligente e spigliata ho suscitato  spesso le invidie di altre femmine con evidenti complessi di inferiorità malamente gestiti e, per questo, mi sono sempre trovata più a mio agio con i maschi. Sul lavoro, nello studio, nella vita.

Ma le donne, queste donne umorali, diverse, emotive, puntigliose, doppiogiochiste, mamme, amanti, mogli, folletti, mi mancavano.

O forse mi mancava solo parlare di baffi e cerette, durante la pausa caffè.

Albe, tramonti e lunghe esposizioni

Primo giorno di ciclo dell'era post laparoscopica. Il dolore non è intenso ma temo esploderà tra tre, due uno...
Niente gonfiore stavolta, solo il solito malumore passeggero iniziato in PMS. Passerà domani. Anzi, sarebbe passato  domani se non fossi costretta a presiedere l'ennesimo compleanno associato a pranzo domenicale con parenti, non parenti e due bambini.

E' la noia, vecchia troia.

Queste incombenze pesano ancora, odio le forzature. Ma ora sono più sicura di me, scalfire la corazza che ho faticosamente costruito attorno alla mia pelle, a protezione delle mie spalle e delle mie chiappe è più difficile.

Omo avvisato mezzo salvato.

Sul pavimento della zona giorno di questa mansardina ci sono 5 paia di scarpe tra stivali, sneakers, mezzi tacchi e ballerine. Più le ciabatte.
Sono un millepiedi disordinato.
I miei vestiti occupano abusivamente letto, divano, sedie, scale. Penelope l'irriverente continua a scassare soprammobili di vetro e ceramica, si fa le unghie sul divano a fiori, strappa giornali e volantini, si intrufola nel camino.

Inizio a sentire nostalgia di casa, soprattutto oggi che non posso più ignorare il substrato di lordame che mi circonda e devo metter mano a secchio, scopa, stracci e detersivi.

Però la vita da gitana mi piace. Mi fa sentire libera, meno schiava di abitudine e quotidianità.

La prossima settimana incombe minacciosa con sveglie al canto del gallo e ritmi serrati. Mi consolo pensando che vedere il sole sorgere su Roma è un privilegio di pochi. Degli scopini, per esempio.

Ho imparato a sfruttare le occasioni, considerare opportunità quelle che gli altri chiamano rotture di coglioni. Così lavorare fino a sera significa avere la possibilità di coltivare una passione che ho deciso di non trascurare nonostante, ora, i miei impegni siano serrati. La fotografia.

Quindi oggi vi lascio così, tra luci, ombre e lunghe esposizioni.









martedì 17 marzo 2015

Di errori, rimedi e autostima

Venerdì mattina mi sentivo figa e in armonia con le pieghe dell’universo e coi suoi contorti disegni astrali, tanto da pensare, in viaggio verso il lavoro, che una cazziata sarebbe stata una stonatura.

In effetti  la cazziata non è arrivata anche se quel sottile senso di inadeguatezza, retaggio di chissà quale trauma infantile, non si è scollato dalla mia pelle per tutto il giorno a conferma della teoria sul mio errato rapporto col concetto di errore ed infallibilità. Roba che vorrei conoscere il responsabile della mia insicurezza cronica a prenderlo a randellate sui denti, viulentemente.

Il mio vero o presunto, piccolo o grande errore sul lavoro non è stato l’unico della settimana.

L’altro l’ha commesso mio marito quando pur essendosi accorto che il colore delle pareti non era grigio ma azzurrino ha continuato, imperterrito e senza avvertirmi, il suo lavoro di imbianchino. Così adesso ci ritroviamo con mezzo salotto color zoccolatura ospedaliera.

Io, che sono avvezza al problem solving, l’ho presa bene.

Asciugate le lacrime ho pensato che la soluzione migliore sarebbe stata anche la più semplice: tornare al bianco, in barba al fescion interior design e alle menate da sciura milanese.

Vani sono stati i tentativi dei miei famigliari per convincermi che sì, quel colore non era proprio come me lo aspettavo ma sembra di stare in mezzo al mare, che vuoi di più?

Domenica pomeriggio, quindi, armati di pazienza e buona volontà siamo tornati da Leory Merlin. Abbiamo preso un grigio perla perché siamo caparbi e confondiamo facilmente le buone intenzioni con le buone riuscite.

Dopotutto la soluzione semplice è spesso la migliore ma anche la più noiosa.

Di questo passo rientreremo a casa, con buona probabilità, a ferragosto. Speriamo solo che mia suocera non reclami l’usufrutto della sua dimora o che, peggio, venga a dormire con noi.

La sfida del grigio è già abbastanza, direi.

Work in progress a ans(i)e cerebrali

Vivere in una mansardina di legno che si incastona nel disegno irregolare dei tetti affacciati sulla vecchia via principale del centro storico del mio paese è molto poetico. Le altezze mi piacciono e stamattina ho sorseggiato il mio caffè beandomi d’un panorama invidiabile.

Sarebbe un buon inizio di giornata se non fosse che la grana lavorativa lasciata in sospeso ieri sera è rimasta ad attendermi, ansiosa di scoppiarmi tra le mani. Non smetto di costruire scenari catastrofici, plotoni d’esecuzione, mortificazioni dell’animo, licenziamenti in tronco, mobbing. Lo faccio da sempre, ogni volta che commetto un errore o che penso di averlo commesso. E mi odio per questo. Perché non la prendo solo male, la prendo nel peggiore dei modi possibili che comprende perdita istantanea di sonno, fame e voglia di vivere.

Avrei dovuto, probabilmente, indagare a fondo anche su questo lato controverso e deleterio del mio carattere quando ero in analisi da Sciattaman ma non ne ho avuto il tempo e, soprattutto, ero troppo impegnata a non farmi soffocare dall'ipocondria che, a dirla tutta, ogni tanto fa capolino, con la manina alzata, tra le mia anse cerebrali.

Nel frattempo casa mia è ancora work in progress. Non ho avuto modo di vedere come procede la ristrutturazione home made di mio marito ma continuo ad avere fiducia in lui anche se ieri la frase il grigio è talmente chiaro che sembra celestino mi ha fatto vacillare un tantinello.

A tre giorni esatti dalla fine della mia convalescenza ancora non mi sono decisa a chiamare Sboccaccio. Sono stanca dei camici bianchi, dell’odore di disinfettante, delle sale d’aspetto e di smutandarmi. Ho promesso a me stessa, tuttavia, di non attendere oltre. Alzerò il telefono in giornata, a limite lunedì.

Di buono c’è che ho ricevuto la mia prima busta paga dopo mesi di disoccupazione. Ironia della sorte, il cattivissimo Ferrone ha creato un abito rosso come la più lurida delle tentazioni e ha avuto l’ardire di sbattermelo in faccia mettendolo in vetrina. Il mio piano di austerity monetaria inizia a fare acqua. E il connubio stipendio – bellissimo vestito è pericoloso per le mie finanze che, ad essere onesti, grazie al mio nuovo impiego respirano, sì, ma sempre con la mascherina d’ossigeno attaccata.

Continuo a fissare il telefono aspettandomi una cazziata, devo docciarmi, truccarmi e indossare, oltre al sorriso, il mio maglioncino verde. Di solito spero che la giornata si svolga sulla falsa riga delle mie aspettative, stavolta spero che prenda una piega diversa.

In bocca al lupo, Princess.

mercoledì 11 marzo 2015

Libertà ritrovate

Il referto è scritto nero su bianco a pagina due del foglio dimissioni, il lasciapassare dei degenti verso una libertà vigilata dal ricovero ospedaliero che, nel mio caso, è durato poco più di 24 ore.

Ripetuti tentativi.

Tre, per essere precisi. Fatti con due diversi strumenti e un'ostetrica che, cito testualmente, ha spinto, un po' come si fa con le partorienti solo che, stavolta, anziché far uscire qualcosa bisognava farla entrare o meglio, passare. 

Quando tre mesi e mezzo fa, su indicazione di Sboccaccio, sono andata a fare il colloquio con AlterEgo, abbiamo parlato a lungo delle potenzialità della laparoscopia diagnostica, paventando tutte le possibilità. Avremmo potuto scovare qualche aderenza, un'endometriosi, un ovaio micropolicistico sfuggito alle ecografie pelviche, una piccola malformazione.

Visto che ci siamo facciamo anche un'isteroscopia e ricontrolliamo le tube.

Le tube.

Un'appendice, una nota a piè di pagina, un dettaglio, una sciocchezza da eccesso di meticolosità.

Sì perché l'isterosalpingografia del settembre 2013 parlava chiaro: pervie.

Non lo erano, anzi. Erano così chiuse da richiedere, per scavicchiarle, tre tentativi, due strumenti e un'ostetrica che ha giocato a palla col mio utero.

Quando, nel dormiveglia post anestetico lo specializzando me l'ha comunicato ho creduto d'aver capito male. O forse stavo sognando. 

Ma la versione data da AlterEgo all'USI, che aspettava fuori dalla sala operatoria, è stata la stessa così come la sua incredulità, il suo stupore.

Forse il metodo usato da SantoSpirito era troppo obsoleto, forse si sono tappate dopo. Tante domande, nessuna risposta e la sgradevole sensazione che la vita mi stia prendendo per il culo.

Tornerò presto da Sboccaccio che alla luce di questi risultati mi dirà quale strada prendere. Quello che so è che ho fatto bene ad andare avanti. Quello che so è che la pignoleria e la testardaggine oggi, in qualche modo, hanno vinto perché ora le mie tube sono libere, libere davvero e questa partita si combatte, finalmente, a carte scoperte.

martedì 3 marzo 2015

Meccanismi evolutivi della specie infertile

Di solito si arriva ad affrontare un percorso emotivamente e fisicamente complesso come la PMA sufficientemente corazzate. Siamo abituate a sopportare, forse persino a tollerare, quel sottile velo di disapprovazione che cala sugli occhi di chi, senza sapere, si arroga il diritto di sparare sentenze, di chi ti bolla come una che viola le sacre leggi di mater nautra facendo ricorso all’aiuto della medicina per avere un figlio senza considerare che, seguendo lo stesso filo logico, non dovremmo manco volare su un aereo, visto che la natura non è la Redbull e non c’ha messo le ali.

C’è ancora qualcosa però che riesce a trafiggerti, oltrepassando elmi, scudi e maglie di mithril. Accade quando quello stesso velo di disapprovazione cala su occhi famigliari. Come quelli di tua sorella.

Ieri sera, colta da improvvisa consapevolezza mistica, prima di spegnere il piccì sono andata a spulciare quei vecchi forum che da tempo, con l’intenzione manifesta di controllare la mia ipocondria, non frequentavo.

Se io sono cambiata Google no. E alla voce laparoscopia per endometriosi erano associati racconti terrificanti di dolori, degenze infinite, ovaie rimosse. Strano non ci fosse qualche caduto.

Ho avuto paura. Ho cercato conforto.

Non l’ho trovato. Non da tutti, almeno.

Che ti aspettavi, io te l’avevo detto che non sarebbe stata una passeggiata. E’ un intervento vero e proprio. Sarei più felice se adottassi.

Piombare nel baratro della solitudine e delle giustificazioni che non sarei costretta a dare, trattandosi della mia vita, è stata l’opzione che, inconsciamente, ho deciso di scegliere. Ma solo all’inizio. Poi quell’io che ho faticosamente costruito è venuto fuori. E da piccolo, innocuo, timido s’è fatto immenso, forte, sfacciato.

Questa mattina è stato ulteriormente nutrito da un messaggio: non fermarti.


Siamo quello che decidiamo. Possiamo scegliere di non farci condizionare. Io ho deciso di prendermi solo il meglio dalle persone che ho intorno. Qualcuno lo chiama opportunismo, io preferisco considerarla una forma di evoluzione, un meccanismo di sopravvivenza.